Cosa vedere a Scicli

Andiamo a Scicli?

Scicli è una delle mete più interessanti del sud est siciliano. La cittadina si trova a pochi chilometri da Ragusa e Modica ed è molto vicina al mare.

Tra le strade della città barocca troverai numerosi monumenti da visitare, curiose tradizioni da scoprire e tanti luoghi di Montalbano.

Vuoi visitare Scicli con una guida, scopri le nostre proposte!

Montalbano a Scicli

Passeggiando ti accorgerai di essere a Vigata! Tra i luoghi di Montalbano più famosi riconoscere il commissariato di Vigata, l’ufficio del questore di Montelusa e la Mannara. Ogni angolo di Scicli racconta un’episodio de Il commissario Montalbano, pronti a scoprirli?

Scopri tutti i luoghi di Montalbano a Scicli

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Scicli una meraviglia siciliana

Il centro di Scicli, intimo e raccolto, si presta ad una visita a piedi o in bicicletta. Dopo aver vistato le perle custodite tra via Francesco Mormino Penna e le cave di San Bartolomeo e di Santa Maria La nova, ti suggeriamo di salire sui colli per ammirare la chiesa di San Matteo, il convento della Croce e splendidi panorami!

In questa pagina troverai una guida per visitare Scicli, oppure potrai scegliere di farti accompagnare da noi!

Visite guidate a Scicli

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Cosa vedere a Scicli

La guida di Visit Vigata dedicata a Scicli. Leggi e viaggia!

Via Francesco Mormina Penna è considerata una delle più belle vie della Sicilia erappresenta il cuore tardobarocco di Scicli. Nonostante sia il risultato di una serie di trasformazioni, che si sono susseguite fino al Novecento, la via mantiene un’armonia che la rende unica. 

Mirabili chiese settecentesche, affascinanti palazzi ottocenteschi e novecenteschi corrono fianco a fianco in questa strada immersa nel centro urbano della città. Elegante e intima, la via, ospita le chiese di Santa Teresa, di San Michele e di San Giovanni davanti alle quali si aprono tre piccole piazze.

Alla chiesa di San Giovanni è oggi affiancato il palazzo comunale costruito nel ‘900 al posto del Monastero delle Benedettine. Proprio davanti al palazzo comunale si apre Piazza Municipio con il caratteristico palco della musica. Questo spazio fino alla seconda metà dell’Ottocento era occupato dalla chiesa di Santa Maria la Piazza e dalla chiesa dell’Ospedale che chiudevano la via. Dopo la demolizione delle due chiese si ridisegnò lo spazio urbano così come lo vediamo oggi. Via Francesco Mormina Penna, le sue basole dorate, le chiese e i palazzi sono senza ombra di dubbio la prima e imperdibile tappa di un viaggio a Scicli.

Palazzo Comunale o commissariato di Vigata?

L’itinerario per conoscere la via può partire dal Palazzo del comune di Scicli. Il Municipio fu costruito tra  il 1902 e il 1906 nel luogo dove si trovava il Monastero delle Benedettine, annesso alla chiesa di San Giovanni. La facciata dell’edificio più rappresentativo della città fu costruita in stile eclettico in modo da sottolinearne l’importanza, senza però renderlo dissonante allo stile tardo barocco della via. Infatti, nonostante sia immerso in un contesto tardo barocco, le eleganti linee e lo stile sobrio che richiama elementi rococò, neoclassici e liberty, lo rendono  armonico all’ambiente monumentale circostante.

Il palazzo ospita gli uffici amministrativi del Comune, tra questi anche l’ufficio del sindaco che, grazie alla fiction, è oggi conosciuto come La stanza di Montalbano. Dal balcone di quest’ultimo si può godere di una magnifica vista di tutta la via Francesco Mormina Penna. 

Un circolo dalla lunga storia

Nei bassi del palazzo troviamo anche l’ex Camera del lavoro o Circolo di conversazione. Gli ambienti dell’ex Camera del lavoro si trovano al pian terreno del palazzo comunale. I finestroni si affacciano in via Francesco Mormina Penna mentre l’ingresso è su via Nazionale, la vecchia via Maestranza. Gli interni, tre stanze più il giardino, ci riportano ad una atmosfera Gattopardesca grazie al salone affrescato e arricchito dalle fantasie della carta da parati.

Le vicende legate all’attuale ex Camera del lavoro sono intricate e affondano le radici in un tempo lontano. Alla fine dell’Ottocento queste stanze ospitarono il nascente Circolo Garibaldi fino al primo dopoguerra. All’indomani della Marcia su Roma (1922) il circolo fu occupato da un gruppo di fascisti che fondarono il Dopolavoro comunale. Gli equilibri cambiarono ancora una volta alla fine della Seconda guerra mondiale: i fascisti usciti sconfitti dal conflitto furono allontanati dal circolo che passò nelle mani di contadini e braccianti legati al Partito Comunista e Socialista. Il Dopolavoro comunale cambiò nuovamente nome e diventò la Camera del lavoro di Scicli. Oggi è uno spazio aperto alla città e ospita convegni, eventi culturali e mostre.

Chiesa di San Giovanni

Affiancata al palazzo comunale c’è la chiesa di San Giovanni. Completata nel 1803 è una meraviglia dell’arte barocca. La facciata alterna movimenti concavi e convessi sottolineati da doppie colonne che, insieme alla scalinata, le conferiscono slancio e grandiosità. Il secondo ordine della facciata è ornato da curate gelosie in ferro battuto che richiamano i balconi dei palazzi vicini. L’interno della chiesa, a pianta ovale, custodisce stucchi e motivi decorativi lontani dal gusto tardo barocco. La chiesa ospita il Crocifisso di Burgos, un’opera di provenienza spagnola. La particolarità di questa tela sta nella peculiare iconografia, il corpo del Cristo è rappresentato coperto da una veste bianca dal bacino fino alle caviglie. Si tratta di un dipinto secentesco raro e affascinante che fa riferimento ad una scultura lignea del secolo XIV, venerata in Spagna nella chiesa madre di Santa Maria di Burgos.

Chiesa di San Michele

A pochi metri dalla chiesa di San Giovanni, incastonata tra palazzo Spadaro e palazzo Bonelli si può ammirare la chiesa di San Michele. Leggermente spostata sul lato sinistro, la chiesa è stata costruita in modo tale da sfruttare tutto l’esiguo spazio a disposizione lasciando intravedere alla sua destra la chiesa di Santa Teresa. La facciata, a tre ordini, è attraversata da due colonne corinzie. Sopra il basso portale, nel secondo ordine, una finestra ornata di ghirlande è chiusa da una gelosia. In alto la cella campanaria, sovrastata da un timpano triangolare, custodisce una campana fusa con le monete e le barre di stagno di origine greca, rinvenute dopo il terremoto del 1693 in contrada Maulli, vicino all’attuale foce del fiume Irminio. L’interno è finemente decorato con motivi floreali e strumenti musicali.

Palazzo Spadaro

Sull’altro lato della via notiamo il Palazzo Spadaro. Otto balconi a petto d’oca corrono lungo tutta la facciata del palazzo settecentesco, retti da sontuose mensole decorate con motivi geometrici e floreali. Al piano terra, sotto ogni balcone, si aprono altrettanti portoni, di cui due con eleganti decorazioni. Al palazzo si accede dal portone antistante la chiesa di San Michele che introduce alla scala principale molto ricca di decorazioni. Le due rampe di marmo sono accompagnate da due dipinti del primo Novecento. Da un lato è raffigurata una donna con tre bambini che tende la mano nell’atto di chiedere l’elemosina. Questa tela, chiamata Povertà, è collocata su quello che era l’ingresso della servitù. Di fronte possiamo invece notare la tela Ricchezza in cui è raffigurata una donna con due ragazze e una bambina in un momento di serenità. Questa rampa della scala era quella usata dalla famiglia Spadaro.

Gli sfarzosi interni sono interessanti per la policromia delle decorazioni, ricchi di richiami mitologici e allegorici. La camera da letto è sicuramente l’ambiente più affascinante, possiamo ancora ammirare l’originale pavimentazione in maiolica, l’alcova e una piccola porticina che permetteva la fuga dal palazzo senza essere notati. Il salone principale è oggi una sala conferenze e negli ambienti attigui è possibile ammirare alcuni dipinti realizzati dagli artisti del Gruppo di Scicli.

Al pian terreno, in uno dei bassi del Palazzo Spadaro aveva sede una delle storiche farmacie della città, l’Antica Farmacia Cartia. All’interno sono ancora conservati gli arredi dei primi del Novecento e i vasi originali di fine Ottocento. Oggi non ha più funzione commerciale ed è visitabile su richiesta.

Chiesa di Santa Teresa

Spostandosi verso la fine della via, prima di scorgere gli argini del torrente possiamo ammirare la chiesa di Santa Teresa. Uno stile molto sobrio ma interessante caratterizza la facciata rettangolare della chiesa, decisamente diversa dalle altre che si trovano nella stessa via. Il loggiato a tre arcate, adiacente alla cella campanaria, e la finestra quadrilobata del secondo ordine sono elementi insoliti che rimandano alla tradizione medievale e quindi segnano una continuità tra prima e dopo il terremoto del 1693. L’interno è caratterizzato da un’unica navata con quattro cappelle laterali: lo spazio stretto e intimo crea un’atmosfera fortemente spirituale. Gli stucchi interni sono molto curati e riprendono motivi floreali, putti, angeli e conchiglie. La chiesa è un’affascinante sintesi tra il linguaggio rococò e le esperienze artigianali delle tradizioni locali.

Lasciandosi alle spalle il Palazzo Comunale si arriva velocemente in Piazza Italia e alla Cava di San Bartolomeo percorrendo un tratto di via Nazionale. Chiusa tra la collina di San Matteo e quella della Croce, la Cava di San Bartolomeo si estende da Piazza Italia per circa cinquecento metri quando si apre verso la campagna.

Le grotte di Chiafura

Fino agli inizi del Novecento il greto del torrente era scoperto, oggi è stato coperto è scorre sotto il piano stradale. Sotto il colle di San Matteo si sviluppa il quartiere rupestre di Chiafura caratterizzato da abitazioni scavate nella roccia. «Sopra le ultime casupole di pietra della cittadina, si sale una specie di montagna del purgatorio, coi gironi uno sull’altro, forati dai buchi delle porte delle caverne saracene, dove la gente ha messo un letto, delle immagini sacre o dei cartelloni di film alle pareti di sassi, e lì vive ammassata, qualche volta col mulo», con queste parole Pasolini descrisse il quartiere rupestre. Lo scrittore visitò Chiafura nel 1959 insieme a Carlo Levi, Renato Guttuso e altri intellettuali. Per molti aspetti simile ai Sassi di Matera, le «cento bocche» di Chiafura furono abitate fino al 1961, in seguito ad una lunga battaglia per la casa, durata oltre 12 anni, gli abitanti poterono lasciare le grotte per una casa dignitosa.

Chiesa di San Bartolomeo

Al centro della Cava si erge la chiesa di San Bartolomeo. Il contesto naturale in cui è inserita la rendono un’architettura di una bellezza unica, tanto da essere definita dall’architetto Paolo Portoghesi «una perla dentro le valve di una conchiglia». La chiesa risale al XV secolo, ha resistito al terremoto del 1693 ma ha subito gravi danni e fu quindi ricostruita. La facciata è a tre ordini, nel primo notiamo colonne doriche, nel secondo ioniche e corinzie nell’ultimo. In cima, una cupola costolonata corona la facciata che fu terminata nei primi anni dell’Ottocento e per ciò porta i segni di un’architettura tardo barocca influenzata da tendenze neoclassiche.

Sul portale è presente una statua della Madonna con Gesù Bambino, ai lati quattro statue raffiguranti San Pietro, San Paolo, San Bartolomeo e San Guglielmo. L’interno, a navata unica, è particolarmente curato e conserva numerose opere d’arte. Tra queste ricordiamo il presepe settecentesco che conta 29 statue in legno realizzate dallo scultore napoletano Pietro Padula chiamato per ricostruire il presepe cinquecentesco che fu distrutto dal terremoto. Interessante anche la Santa Cassa che custodisce una statua di Gesù Bambino nudo che in città è chiamato Cicidda d’oro e viene portato in processione il giorno di Natale.

Palazzo Iacono e palazzo Fava

Meritano di essere citati anche due eleganti palazzi nobiliari che si affacciano sulla via: Palazzo Iacono e Palazzo Fava. Quest’ultimo fu costruito nella seconda metà del Seicento, ma già all’inizio del Settecento fu ristrutturato per riparare i danni del terremoto. Due sono gli elementi che colpiscono del suo prospetto, l’imponente portale e il balcone dei Grifi. Il primo si affaccia su piazza Italia, due colonne con capitelli corinzi sorreggono un balcone decorato con ghirlande, putti e altre figure fantastiche. In alto, sopra un timpano spezzato, troviamo lo stemma nobiliare della famiglia. Il balcone dei Grifi è invece sul lato di via San Bartolomeo, è l’unico che poggia su quattro mensole decorate con affascinanti figure fantastiche: volti barbuti reggono cavalli alati dal corpo pesciforme che vengono cavalcati da putti e figure fantastiche. In mezzo due straordinari grifi con testa d’aquila e arti di leone che guardano ai lati.

Piazza Italia è la piazza più grande e più importante della città. Circondata da magnifici palazzi settecenteschi, ha una caratteristica forma allungata dovuta alla sua costruzione. La superficie segue infatti l’andamento del torrente di San Bartolomeo che è stato coperto per ricavare l’attuale piazza che termina all’altezza del Cineteatro Italia, dove inizia il Largo Gramsci.

Chiesa Madre

L’edificio più importante che si affaccia sulla piazza è la chiesa Madre. Al suo fianco una discutibile architettura, costruita negli anni ’60 per ospitare una scuola, ha sostituito l’antico convento dei Gesuiti annesso alla chiesa. I lavori di costruzione della chiesa e del convento risalgono agli inizi del Seicento. Il terremoto del 1693 colpì la chiesa ancora in costruzione, le poche fonti a disposizione non aiutano a datare la fine dei lavori che con molta probabilità si conclusero dopo il 1751, data dipinta sul prospetto tra il primo e secondo ordine.

La facciata piana è semplice ma molto elegante: quattro statue e decorazioni con teste di putto e motivi fogliacei abbelliscono i due ordini. L’interno, a pianta basilicale, è articolato in tre navate molto decorate con stucchi e affreschi. Nella navata sinistra sono custoditi due quadri in cui è rappresentata la battaglia tra i turchi e cristiani avvenuta, secondo leggenda, nel 1091. Accanto alle tele è conservata la statua della Madonna delle Milizie intervenuta in battaglia in aiuto dei cristiani. La Madonna guerriera impugna una spada e cavalca un cavallo che schiaccia gli invasori. Ogni anno, l’ultimo sabato di maggio, in piazza Italia viene rievocata la battaglia delle Milizie in una partecipata festa popolare.

Palazzo Beneventano

A pochi passi dalla chiesa, in via Duca D’Aosta, segnaliamo il palazzo Beneventano l’architettura civile più interessante della città. Considerato uno dei palazzi tardobarocchi più belli Sicilia è famoso per gli irriverenti mascheroni e le fantastiche decorazioni. La sua costruzione si fa risalire alla metà del Settecento.

La posizione scenografica mette in evidenza il possente cantonale che unisce i due sontuosi prospetti. Grandi bugne diamantate alternate a bugne lisce si rincorrono verso l’alto fino allo stemma della famiglia che poggia su due piccole teste di moro. I due prospetti non possono passare inosservati grazie agli eccezionali mascheroni. Occhi fuori dalle orbite, linguacce e espressioni spaventose caratterizzano le due teste di moro con turbante e un’altra maschera esasperata incastonate negli archi che concludono le porte. I mensoloni che reggono i balconi non sono da meno, i mascheroni hanno le sembianze di aggressivi animali fantastici. La magnificenza e l’abbondanza delle decorazioni fanno del palazzo Beneventano un capolavoro dell’architettura tardobarocca.

Da Piazza Italia, percorrendo via Nazionale si arriva a Piazza Busacca. Progettata a fine Ottocento, la piazza è dominata dalla chiesa e dal convento del Carmine.

Al suo centro ospita la statua di Pietro di Lorenzo Busacca, banchiere e benefattore, a cui è intitolato anche il vicino palazzo caratterizzato dall’orologio circondato da due sirene posto in cima al prospetto.

Il convento del Carmine sarebbe stato fondato nel 1368 e annesso alla chiesa di San Giacomo Interciso che successivamente fu intitolata a Santa Maria Annunziata. L’attuale facciata della chiesa risale al secondo Settecento, è caratterizzata da un sobrio ma raffinato stile rococò ed è divisa in tre ordini. La cella campanaria non si trova nel prospetto ma sul lato sinistro dell’edificio religioso.

Chiesa del Carmine

All’interno troviamo un’unica navata, nell’abside è posto un altare di marmo sovrastato dalla statua della Madonna del Carmine che regge Gesù bambino. I candidi stucchi, i putti sognanti, la grande luminosità e le numerose tele ci riportano in una atmosfera pienamente rococò. La chiesa così come la ammiriamo oggi è il frutto dei lavori che da fine Settecento sono continuati fino all’Ottocento.

Convento del Carmine

La facciata del convento è invece articolata su un doppio ordine. Nel primo si aprono alcune botteghe e il portone che introduce al chiostro, nel secondo, più interessante, si aprono una serie di finestre e un balcone abbellito con un ringhiera in ferro battuto. Sotto alcune finestre si può notare la Croce dei Cavalieri di Malta a cui i Carmelitani appartenevano. Il cortile è stato fortemente rimaneggiato e del portico ne rimangono solo due lati.

Lasciandosi alle spalle Piazza Busacca si può procedere verso la Cava di Santa Maria la Nova. Anticamente caratterizzata dal torrente, che oggi scorre sotto il piano stradale, è un’importante quartiere della città. Sulla nostra strada incontreremo la chiesa della Consolazione, potremo vedere in alto il convento del Rosario e la chiesa di San Matteo, fino ad arrivare alla chiesa di Santa Maria la Nova posta proprio all’imbocco dell’antica cava. Alle spalle di questa si estende la caratteristica cavuzza di San Guglielmo con l’omonimo eremo. Questo piccolo quartiere è un gioiello: con le sue piccole case arroccate al costone sembra un presepe.

Chiesa della Consolazione

La chiesa di Santa Maria della Consolazione è annunciata da una scalinata che termina su un grande sagrato coperto di dorate basole. Ha una facciata piana a due ordini che riporta la scritta Patrona Civitatis (patrona della città), privilegio che il Re di Spagna Filippo IV gli concesse nel 1645 e che testimonia quanto fosse forte la devozione popolare per Maria della Consolazione.

Le cronache storiche ci raccontano che nel ‘400 nello stesso luogo era presente un tempio dedicato a San Tommaso Apostolo. La chiesta fu riedificata tra il ‘600 e il ‘700. Il singolare portale laterale in stile gotico richiama scene di vita e del martirio di San Tommaso Apostolo e testimonia la presenza di un tempio cristiano già prima del terremoto del 1693.

L’interno è a tre navate con dorature e stucchi di colore verde e rosa pastello. Il pavimento in pietra locale bianca e pietra pece nera riporta motivi geometrici e floreali. Sopra l’altare maggiore si può ammirare una tela che raffigura Cristo con le anime del purgatorio. Curioso e interessante è il campanile: decorato con maioliche colorate è isolato dal prospetto, un caso unico per le architetture ecclesiastiche di Scicli.

Chiesa del Rosario

Inerpicandosi per le vie alla sinistra della chiesa che si arrampicano sul colle, tra scalinate e ripide salite si arriva alla Chiesa e Convento del Rosario. Costruiti sulla sommità del Monte Campagna, la chiesa inizialmente era dedicata alla Madonna di Monserrato che dai documenti ritrovati si può datare intorno al 1516. Il convento Dominicano è invece databile intorno al 1567, ma meno di cento anni dopo, nel 1652, fu soppresso da Papa Innocenzo perché non aveva i mezzi per il mantenimento dei monaci. Grazie alle numerose donazioni di terre fatte da famiglie sciclitane, il convento riuscì a riprendere l’attività poco dopo. Fu sede di scuole di teologia e filosofia che formò sacerdoti di grande intelletto e cultori di lettere.

Il terremoto del 1693 distrusse solamente il cappellone della chiesa che fu ricostruito. Nei secoli successivi sia la chiesa che il convento subirono diverse modifiche. Il portale della chiesa, caratterizzato da quattro lesene che affiancano il portale centrale, presenta un timpano triangolare sovrastato da un finestrone con arco ribassato. Conclude il prospetto un frontone triangolare decorato da piramidi e da una forma a bulbo dal gusto neoclassico. La chiesa custodisce una statua della Vergine Maria che avrebbe compiuto numerose guarigioni. Si narra anche di un’ampolla d’olio rinvenuta nel 1600 che conteneva un’inesauribile liquido dalle prodigiose qualità curative.

Superando la chiesa della Consolazione, al termine di una salita troviamo la chiesa di Santa Maria La Nova che dà il nome al quartiere.

Chiesa di Santa Maria La Nova

Fondata con il nome di Santa Maria della Pietà, la chiesa di Santa Maria La Nova è l’ultima architettura ecclesiastica ad essere stata completata. L’attuale struttura della chiesa è il risultato di numerosi rifacimenti e ricostruzioni che hanno attraversato tre secoli fino all’apertura al culto nel 1857. Le sorti della chiesa sono legate al testamento e all’eredità del più noto benefattore e sciclitano, Pietro Di Lorenzo Busacca, che col il testamento del 1567, nominò erede del suo enorme patrimonio la Confraternita della Chiesa denominata allora Santa Maria della Pietà.

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La maestosa struttura ne fa la chiesa più monumentale di Scicli mentre le forme geometriche del prospetto, della navata maggiore e delle cappelle laterali sanciscono il passaggio dalla cultura architettonica tardo barocca a quella neoclassica. L’imponente prospetto è articolato su tre ordini a loro volta divisi da lesene che terminano con capitelli ionici. Il terzo ordine è concluso dalla torre campanaria decorata con ghirlande e da una balaustra.

L’interno è diviso in tre navate, quella centrale è la più ampia mentre quelle laterali sono caratterizzate da tre cappelle concluse da cupole emisferiche. Questa chiesa custodisce statue, pitture e reliquie di grande interesse e pregio. Tra tutte citiamo la statua lignea del Cristo Risorto, popolarmente chiamato Uomu Vivu o ‘U Gioia. Questa statua viene portata in processione il giorno di Pasqua da una folla urlante e festosa che rendono la processione la più partecipata della città. Nella parte posteriore, sul fianco sinistro, alla chiesa è annesso l’eremo di San Guglielmo con il giardino in cui è presente il tronco del cipresso che secondo tradizione sarebbe stato piantato dal Santo.

Costruito sull’omonimo colle il complesso della Croce è un’interessate testimonianza dell’architettura Cinquecentesca. La chiesa e il convento infatti non sono stati distrutti dal terremoto del 1693 ma sono stati ampiamente rimaneggiati nel corso dei secoli successivi. Più che la cultura architettonica, abbastanza povera, è interessante l’articolazione spaziale e il dialogo con l’ambiente che lo circonda: il complesso aderisce infatti perfettamente ai bordi della collina come fosse una roccaforte. Il convento si sviluppa attorno a due chiostri di forma trapezoidale che si estendono a ridosso dello strapiombo del colle. Dal secondo cortile si può accedere in una loggia a bifora che si affaccia sulla vallata e da cui si gode di un meraviglioso panorama.

Il monastero fu fondato all’inizio del XVI secolo dai Frati minori, la chiesa fu completata nel 1528, data ancora oggi leggibile nel cartiglio visibile sul lato sinistro del prospetto. Nella facciata possono riconoscersi elementi tardo gotici. Sul portale d’ingresso si aprono due archi, uno a tutto sesto e uno a sesto acuto, nello spazio tra gli archi è scolpito lo stemma dei Conti di Modica. Sulla sinistra si può notare lo stemma dell’Università (Municipio) di Scicli, mentre quello a destra non è ancora stato decifrato. Il prospetto è completato da due colonne tortili, sotto quella di destra un leone viene morso da un ramarro, e da altorilievi che raffigurano un roditore che morde dei grappoli d’uva e un Agnello pasquale acefalo.

L’interno della chiesa presenta un sobrio stile barocco, un’unica aula rettangolare è chiusa da un’abside semicircolare ed è coperta da una volta a botte. Vicino alla chiesa è ancora visibile il piccolo oratorio dedicato alla Madonna di Sion risalente alla metà del Quattrocento. L’ingresso, chiuso tra due semicolonne che reggono un arco trilobato su cui è scolpita una croce, immette in un piccolo spazio caratterizzato da interessanti affreschi che sono stati staccati, restaurati e attualmente esposti nella chiesa di Santa Teresa in attesa di ritornare nel luogo d’origine.

Dall’altro lato, in cima al colle di San Matteo, luogo in cui si sviluppava l’antica Scicli, sorge la chiesa di San Matteo che dall’alto domina il centro urbano e offre una magnifica vista di tutta la città fino al mare. Simbolo indiscusso di Scicli per tutti i suoi abitanti è stata a lungo abbandonata a se stessa tra i ruderi e le rovine della antica città.

Alcuni documenti testimoniano l’esistenza della chiesa dal 313 dopo Cristo quando si diffuse il libero culto del Cristianesimo. Purtroppo non è possibile datare con precisione la fondazione della chiesa madre di Scicli perché le antiche costruzioni e architetture furono modificate e rimaneggiate più volte a causa dei terremoti, il più devastante quello del 1693. Dopo il terribile sisma di fine Seicento la città venne ricostruita a valle, diversamente accadde per la chiesa madre. I cittadini erano fortemente legati al luogo che custodiva le reliquie del Beato Guglielmo, eremita sciclitano morto nel 1404, e nonostante la contrarietà del vescovo del tempo decisero di ricostruire l’edificio sul colle.

I lavori cominciati nel 1704 durarono per oltre un secolo ma l’ambizioso progetto non fu mai portato a termine. Non è chiaro se il prospetto fu mai completato, di sicuro fu ricostruita la fabbrica, stuccata la volta e costruito il campanile sul lato destro della chiesa. La chiesa fu definitivamente abbandonata nel 1874, il tetto fu smantellato per evitare ripensamenti e la chiesa madre fu trasferita nell’attuale chiesa di Sant’Ignazio in piazza Italia.

La posizione della chiesa sul colle mostra a valle l’intera fiancata che si sviluppa come se fosse una seconda facciata conclusa dal campanile Settecentesco che sostituì il precedente crollato a causa del terremoto. Il prospetto, sobrio ed elegante, si sviluppa su due ordini, quello più basso è caratterizzato da tre portali e una serie di lesene e colonne. Il secondo ordine invece presenta un finestrone centrale decorato ai lati da pennacchi e motivi naturalistici.

L’interno è a pianta basilicale scandita da tre navate che terminano in tre absidi quadrangolari. Sotto si estendono le catacombe utilizzate per dare sepoltura ai cittadini fino al 1884. All’esterno, davanti e lateralmente, si apre un lungo piazzale dove è presente anche un orologio che probabilmente è stato costruito ispirandosi a quello originario che prima del terremoto si trovava sul campanile.

Negli anni Ottanta è stata ripristinata la copertura con una volta in cemento armato che ne ha però minato la stabilità. Nel 2013 sono stati effettuati degli interventi per mettere in sicurezza la struttura, oggi la chiesa sarebbe fruibile ma è chiusa. Nonostante ciò consigliamo di arrivare fino in cima per vedere la chiesa di San Matteo dall’esterno e per godere della fantastica vista su Scicli.

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